Solitudine vs Vuoto

Il DSM IV annovera la solitudine e la sensazione di vuoto interiore come alcuni tra i vari acciacchi spirituali di una persona borderline.
Posso assolutamente confermare che è così.

La mia condizione esistenziale è la solitudine. Nonostante io possa avere attorno un mucchio di persone, magari avere anche un partner, degli amici, dei familiari, io mi sento intrinsecamente sola. Sono una monade!
Sinceramente, non riuscirei mai a sentirmi diversa da così, perché così mi sono sentita fin dalla prima infanzia. Per me è più congeniale vivere da sola che non convivere con qualcuno, così come preferisco di gran lunga viaggiare da sola, al punto tale che dover essere in viaggio con qualcuno mi disturba, mi irrita e mi mette ansia talvolta.
Sono sempre stata sola perché evidentemente non sono mai stata in grado di costruire alcuna relazione.
In effetti sono stata una bambina che si faceva i fatti suoi, che preferiva disegnare per conto suo, un’ adolescente che passava il suo tempo libero dedicandosi all’artigianato. Ho sempre preferito fare qualcosa per conto mio piuttosto che passare il tempo con qualcuno, vedendolo come “tempo improduttivo”.
Pertanto la mia solitudine è reale, ma non è veramente un cruccio per me, o almeno non lo è nella maggior parte dei casi. E’ la mia normalità.
Ben diverso è il senso di vuoto interiore. Questo non ha niente a che vedere con la solitudine.
La solitudine non intacca la pienezza interiore, anzi, a volte la sviluppa.
Basta pensare al ritiro spirituale: la solitudine è essenziale per meditare e concentrarsi in se stessi.
Il vuoto interiore invece è la morte dentro. E’ sentirsi morti. Ed è estremamente doloroso perché comporta una dissociazione tra un corpo che nonostante tutto continua a vivere privo della sua anima, privo del suo alito vitale.
In quella situazione sì che preferiresti di gran lunga essere effettivamente morta piuttosto che continuare a trascinarti sul mondo senza la tua anima.
I giorni passano come un’infinita galleria da cui non si esce mai e non si intravede mai la fine.
Quando ero al liceo, percorrevo un infinito tunnel circolare di disforia.
Questo ciclo partiva dal mio giorno bianco in cui ero assolutamente euforica, naturalmente senza alcuna ragione. Pazza, fuori di me, ridevo per qualsiasi cosa, con un’immagine di me faraonica.
Pian piano questi eccessi “alti” si limavano ed i giorni si facevano sempre più grigi, il gelo dentro di me aumentava sempre più fino ad arrivare al giorno nero.
Nel mio giorno nero avevo raggiunto la morte interiore. Mi sentivo morta e avrei preferito esserlo davvero. Non riuscivo a trattenere le lacrime. Non c’era un motivo particolare per sentirmi triste, nessun motivo esterno a me stessa.
A volte mi è capitato di non riuscire a trattenere le lacrime neanche in classe e facevo i salti mortali per non farlo notare, dal momento che non potevo controllare la mia disperazione.
Il giorno seguente era il giorno bianco. Ed il ciclo ricominciava. Questa è stata la mia quotidianità fino all’università, una non-vita.
Ecco, questo è il vuoto interiore. Il gelo dell’anima. Niente a che vedere con la solitudine.

Lascia un commento